martedì 28 gennaio 2014

UNA CORSA NEL PARCO (da Duepercento, capitolo 8)


Marco raggiunse l’ingresso del parco poco prima che il suo orologio segnasse le 7, ancora senza riuscire a credere di essere davvero fuori di casa a quell’ora antelucana, senza nemmeno avere fatto colazione. Indossava una maglietta nera e tarlata sopra un paio di vecchi pantaloncini neri che aveva trovato in fondo all’armadio e che risultavano un po’ troppo fascianti sulle cosce. Le scarpe erano da tennis, più che da corsa, ma erano le uniche che possedeva, a parte i mocassini che indossava quasi sempre, soprattutto perché non avevano le stringhe e quindi non doveva allacciarsele ogni ora (non aveva mai imparato a fare i nodi in maniera decente: come sua madre non perdeva occasione di ricordargli, gli mancava l’asilo, che in effetti aveva frequentato saltuariamente e – evidentemente – con scarso profitto). Nel complesso, considerando anche le calze blu, era veramente uno spettacolo poco edificante. Mentre aspettava che arrivasse Alessandro, osservò con attenzione il grande viale che cominciava a popolarsi di automobili e riempirsi di frastuono, mentre il marciapiede antistante la cancellata del museo era ancora deserto. Naturalmente, Marco immaginava che se ci fosse davvero stato un cacciatore e se questi avesse davvero avuto intenzione di colpire Alessandro durante la corsa, si sarebbe già trovato all’interno dei giardini. Anche se gli ingressi erano appena stati aperti, infatti, introdursi lì dentro non doveva rappresentare un grande problema per un killer professionista quale senza dubbio doveva essere il sicario che era stato messo sulle tracce del povero Alessandro.
Il pensiero del cacciatore lo aveva tenuto sveglio quasi tutta la notte. Serviva a poco sapere che non sarebbe stato lui l’obiettivo dell’eventuale agguato: poteva esserci un assassino nel parco, e indirettamente il suo lavoro prevedeva che lui cercasse di fermarlo.
Molto più tranquillizzante era il fatto che non stesse percependo nessun pericolo imminente, come invece era accaduto due giorni prima, al concerto. Semplice suggestione o meno (ma Raffaele sembrava credere che si trattasse di una sua reale capacità), era ben felice di non doverla affrontare: Quanto meno, infatti, la sua mancanza non confermava la presenza del cacciatore, anche se non la escludeva.
Finalmente, con un quarto d’ora di ritardo, vide la testa di Alessandro emergere all’improvviso dall'uscita della metropolitana. Quando vide la figura intera, si sentì istintivamente un po’ meno inadeguato.
Alessandro apparteneva al classico fenotipo dell’uomo alto e poco atletico: le gambe, parzialmente coperte da un paio di pantaloncini troppo larghi, sembravano due giunchi di bambù, ancora più esili e scarne di quanto fossero in realtà; alla loro fine, i piedi parevano esageratamente lunghi. Il torace era stretto e sottile, e faceva risaltare ancora di più la pancetta prominente che si affacciava sopra l’elastico dei calzoncini. Le spalle erano spioventi e lungo il collo magro il pomo d’Adamo transitava su e giù, come dotato di vita indipendente.
Agitando la mano, attirò la sua attenzione.
Quando si trovarono uno di fronte all’altro, entrambi si sorrisero, probabilmente pensando la stessa cosa: quella corsa sarebbe stata un’avventura interessante.
Si avviarono così verso l’entrata centrale, tutti e due armeggiando con l’orologio. Marcò comprese subito che Alessandro stava facendo sul serio quando lo vide tirare fuori un contapassi.
L’idea, per quella mattina, era quella di iniziare con una ventina di minuti di corsa leggera, giusto per riprendere confidenza con il movimento. Se fossero sopravvissuti e avessero deciso di riprovarci, avrebbero aumentato gradualmente la durata, fino a raggiungere i tre quarti d’ora. Possibilmente, tale evento avrebbe dovuto avere luogo prima del loro cinquantesimo compleanno.
In realtà, almeno all’inizio, le cose sembrarono andare proprio bene. La sgambata procedeva abbastanza spedita, il fiato sembrava sostenerli, tanto che azzardarono addirittura un po’ di conversazione, peraltro mantenendola su livelli estremamente superficiali. In quel momento, era meglio che l’ossigeno disponibile andasse alle gambe.
Marco aveva deciso di condurre l’andatura, soprattutto perché in quel modo, rimanendo di qualche passo davanti ad Alessandro, poteva sperare di decidere il percorso da seguire. Finché ci fosse stata altra gente nelle vicinanze e loro fossero rimasti lontani dagli angoli più nascosti e dalle macchie di vegetazione più dense, aveva pensato, l’ipotetico cacciatore avrebbe avuto senza dubbio vita più difficile.
Dopo poco, poiché continuava a non percepire nessuna sensazione di pericolo, in maniera del tutto involontaria cominciò a concentrarsi sulla corsa, cercando di recuperare gli automatismi che un tempo gli erano così famigliari. Curò con attenzione la coordinazione del movimento delle braccia con quello delle gambe, tentò di mantenere una traiettoria quanto più costante possibile e si sforzò di dare il giusto ritmo alla respirazione.
Per un po’, tutto continuò a procedette in maniera soddisfacente. Poi, commise il madornale errore di guardare il cronometro. Era convinto di correre ormai da dieci minuti, per questo, quando si accorse che a malapena ne erano trascorsi tre, si disunì. Se prima le gambe sembravano girare da sole, improvvisamente si fecero più pesanti, e ogni appoggio a terra sembrava un’ottima occasione per una distorsione o – almeno – una storta; il fiato gli sembrò assolutamente insufficiente per reggere altri diciassette minuti. Diciassette minuti! Sarebbe morto prima, ne era certo. L’unica consolazione gli venne dall’occhiata veloce che lanciò al suo compagno di sventura, che negli ultimi tre minuti sembrava essere regredito di due o tre stadi evolutivi: l’espressione e la postura erano in effetti molto più simili a quelle di un primate che avesse appena deciso di fare un tentativo con il bipedismo che a quelle di un Homo sapiens (probabilmente, anche quelle di un Pitecantropo erano in quel momento fuori dalla sua portata).
A quel punto, spogliato dell’euforia causata dalla scarica di adrenalina, Marco cominciò a preoccuparsi, più che dell’infarto che sentiva incipiente, della situazione nella quale lui e Alessandro si stavano cacciando. Se infatti fino a quel momento aveva cercato, riuscendoci, di tenere un ritmo di corsa tale da rimanere nella scia di altri due jogger mattinieri che li precedevano di una decina di metri, adesso anche quella era diventata un’impresa proibitiva: le due figure li distanziarono sempre di più, fin quando, svoltando dietro un’ansa alberata, scomparvero dalla vista.
Voltandosi indietro, Marco non vide nessun altro corridore approssimarsi. Sarebbe stato il momento peggiore per avvertire la presenza del cacciatore.

Naturalmente, in quel momento avvertì la presenza del cacciatore.

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