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LA LEGGE DEL LUPO - CAPITOLO 1
L’estate
milanese era appena iniziata. Non era ancora esplosa umida e prepotente come al
solito, ma il caldo aveva già cominciato a infiltrarsi dentro le case e sotto i
vestiti, ispirando i primi sogni di fughe al mare in chi invece doveva fare i
conti con un intero pomeriggio di lavoro.
Abbandonato
sulla sedia dietro la sua scrivania, Edoardo Gorini sembrava sull’orlo di un
attacco di cuore: la fronte imperlata di gocce di sudore, la candida camicia
decorata da umidi aloni, la mano destra appoggiata sopra il cuore, la cravatta
slacciata che pendeva asimmetrica dal collo, gli occhi sbarrati che guardavano
il soffitto. Chi l’avesse visto in quel momento, sarebbe stato preso dal dubbio
se chiamare un’ambulanza o, per risparmiare tempo, un’agenzia di pompe funebri.
Purtroppo per
lui, Edoardo Gorini stava benissimo.
Il silenzio
della stanza venne interrotto dal suono del telefono. L’uomo sobbalzò,
riprendendo vita. Dopo diversi secondi di esitazione, allungò la mano tremante,
afferrò la cornetta e se la portò all’orecchio.
“Edo?” la voce
di Pietro lo aggredì con la solita, allegra, ingiustificata aggressività.
“Che c’è?”
rispose, pentendosi subito per l’eccessiva freddezza.
“Cosa fai ancora
lì? C’è la riunione di fine settimana, manchi solo tu. Spegni il computer e vieni
qui, il Geko sta per partire con il suo pistolotto, sai che se entri in sala
quando ha già cominciato diventa ancora più insopportabile…”
“Arrivo subito”
mormorò, riattaccando.
Lentamente, si
alzò dalla sedia, si chinò sulla scrivania e prese ad armeggiare con il mouse
per chiudere le finestre dei programmi ancora aperti. Arrivato all’ultima
schermata, si ritrovò di fronte alla causa del suo deplorevole stato fisico: un
lungo elenco di nominativi affiancati da una serie di tristi, piccoli numeri.
Sospirando,
Edoardo chiuse anche quella finestra, diede il comando di spegnimento al
computer e cominciò a rassettarsi. Si trovò a deprecare il fatto che l’impianto
di condizionamento dell’aria fosse stato già messo in funzione e che quindi gli
uffici della FinSafety erano adeguatamente raffrescati: non avrebbe potuto
giustificare la sua aria stravolta con il caldo.
Aprì lentamente
la porta della sua stanza, mise fuori la testa e si sincerò che il corridoio
fosse effettivamente deserto. Quindi, sgattaiolò fuori, chiuse l’ufficio e si
avviò con passo veloce verso il bagno, dove avrebbe potuto sciacquarsi e
rendersi almeno presentabile. Raggiunta la meta, entrò, si chiuse la porta
dietro le spalle e si precipitò verso il lavandino.
Come, come mi
sono ficcato in questo pasticcio?, si disse guardandosi allo specchio, mentre
lasciava che l’acqua che si era gettato addosso colasse sul suo volto
stravolto. Non poteva credere che quel relitto umano che si trovava dall’altra
parte dello specchio e che in quel momento lo stava contemplando con disprezzo
fosse proprio lui.
Sentiva di non avere
la forza di staccare gli occhi da quella vista a suo modo affascinante, nella
sua disperazione, così prese una salvietta e se la portò sul viso, affondandolo
nel dozzinale profumo da stazione di servizio.
Cominciò a
respirare sempre più profondamente, cercando di recuperare un briciolo di
lucidità. Ci sarebbe anche riuscito, se all’improvviso il suo smartphone non si
fosse messo a squillare, riproducendo le note purtroppo immortali di The Final
Countdown. Sussultò spaventato, si maledisse per non avere impostato la
vibrazione, estrasse stizzito il telefono e lesse il nome di chi lo stava
chiamando. Paolo. Ancora lui. Per tutta la settimana, aveva schivato quella
chiamata (il display gli ricordava che solo quel giorno aveva accumulato 15 chiamate
non risposte), ma sapeva che presto avrebbe dovuto parlare con quel tizio.
Solo, non poteva farlo subito. Si appoggiò il telefono al petto per evitare che
la musica della suoneria richiamasse l’attenzione di chi si fosse trovato per
caso a passare per il corridoio e attese che il suo aspirante interlocutore
desistesse.
Finalmente tornò
il silenzio. Edoardo rimise in tasca il cellulare, terminò di sistemarsi e uscì
dal bagno, avviandosi a passo lento verso la grande stanza in fondo al
corridoio. Man mano che si avvicinava, poteva sentire il suono di una voce
diventare sempre più forte e profonda, intervallata da improvvise risate
collettive. Là dentro si stava consumando l’immancabile rituale mensile: stava
andando in scena la riunione riepilogativa, un rito ufficiato da un unico gran sacerdote,
il capo. Anzi, il boss, come lo chiamavano tutti, in ufficio. I suoi
collaboratori più stretti, invece, gli si rivolgevano chiamandolo Gekko,
mandandolo in brodo di giuggiole anche se, quando parlavano tra loro alle sue
spalle, diventava, più appropriatamente, “il Geko”, con tanti saluti alla “g“ dura
dell’originale. Il personaggio di Wall Street era infatti, manco a dirlo, il
suo eroe, il suo modello, tanto che aveva adottato la stessa pettinatura sfoggiata
da Michael Douglas nel film. O meglio, aveva comprato un parrucchino con la
stessa pettinatura sfoggiata da Michael Douglas nel film. Non era raro che si
mettesse a imitare la parlata del personaggio e a citare i suoi aforismi.
Naturalmente, tutti alla FinSafety, Edoardo compreso, avevano mangiato la
foglia e avevano fatto i loro compiti a casa, vale a dire che avevano visto il
film almeno tre volte a testa ed erano in grado di seguire il boss nei suoi eccessi
di istrionismo. In effetti, c’era stato un momento di crisi quando era uscito
il sequel: non si sapeva se il Geko l’avesse visto e se eventualmente gli fosse
piaciuto, quindi nessuno osava parlarne in sua presenza, anche se ovviamente
tutti, a scanso di equivoci, se l’erano sciroppato due volte al cinema. Dal
momento però che non era stata rilevata nessuna aggiunta al vecchio repertorio di
citazioni e il vecchio parrucchino non era stato sostituito con uno con i
capelli bianchi, l’intero ufficio aveva deciso che Wall Street - Il denaro non
dorme mai non dovesse essere riconosciuto come fonte di ispirazione aziendale.
Quando Edoardo
ebbe raggiunto la porta, la voce del boss stava tuonando numeri.
“… in un anno,
che equivale a duecentomila euro, considerato l’interesse composito del 2,8%,
per non parlare della possibilità di movimentarlo dopo un solo trimestre.
Adesso, qualcuno mi deve spiegare com’è possibile non riuscire a vendere un
titolo del genere!”
Appena percepì
il rumore delle dita che picchiettavano sulla tastiera, abbassò la maniglia ed
entrò.
Come aveva
immaginato, il boss stava digitando altri dati che andavano a formare un elenco
sul grande schermo alle sue spalle, e non gli prestò attenzione mentre prendeva
posto nella sedia vuota che Pietro gli aveva tenuto libera.
“Sei pazzo?” gli
sibilò questi, quando si fu seduto. “Siamo all’ultimo venerdì del mese e tu
arrivi in ritardo allo show del Geko?”
“Ho dovuto
chiudere un contratto” mentì, cercando di rilassarsi almeno un po’.
“Beato te,
allora” mugugnò l’altro, appoggiandosi a sua volta contro lo schienale. “Io
sono quattro giorni che non rimedio uno straccio di appuntamento con un
cliente. È come se avessi la rogna.”
Sei un promotore
finanziario italiano nel 2012, ciccione: magari avessi la rogna, ti
troverebbero più accettabile!, lo apostrofò mentalmente.
“Lunedì passa da
me, forse ti posso dare uno o due nomi…” gli disse invece.
Il volto
grassoccio di Pietro si illuminò.
“Davvero?”
sussurrò, afferrandogli la mano e avvolgendola con i suoi palmi sudati.
“Sì, davvero, ma
ora stiamo zitti, se il Geko ci becca, ci manda a vendere assicurazioni auto ai
ciclisti.”
Pietro obbedì,
non prima di avergli strizzato la mano e avergli rivolto un sorriso di
riconoscenza.
Edoardo sorrise
a sua volta, ma dentro di sé provò un moto di compassione per il vicino. Si
conoscevano da sette anni, da quando Pietro era entrato come stagista nella
società. Ai tempi, Edoardo era un 35enne con già quasi dieci di esperienza sulle
spalle e aveva deciso che quel ragazzo pingue e occhialuto, con un taglio di
capelli militare che faceva sembrare la sua faccia ancora più larga e infantile
e dall’aria inopportunamente innocente, del tutto fuori luogo da quelle parti,
aveva bisogno di lui. Erano tempi più facili quelli, quando un agente di
successo poteva permettersi di essere generoso con i colleghi più giovani. Da
allora, il giovane collega continuava a dimostrargli un’ammirazione e una
fedeltà tali da farlo sentire davvero un agente di successo, perfino quando il
disastro aveva cominciato a profilarsi all’orizzonte. In quegli ultimi mesi,
poi, l’adorazione di Pietro era stata una medicina provvidenziale contro lo
sconforto e la disperazione.
Dopo essersi aggiustato
per l’ennesima volta la cravatta, rivolse lo sguardo verso il boss, che stava
terminando di riportare i dati di vendita di alcuni prodotti finanziari. In
fondo alla lista, riconobbe un nome che gli fece gelare il sangue.
“A volte mi
chiedo perché vi sto pagando” attaccò il Geko, con voce quasi dimessa, come
parlasse tra sé e sé. “Dieci prodotti diversi, dieci possibilità di fare soldi,
soldi veri, intendo, e tutto quello che sapete fare è piazzarne tre, quelli che
ci danno le briciole.” Mentre parlava, fece scorrere il cursore sui primi tre nomi
dell’elenco. Poi, all’improvviso, esplose. “Questo non è un ente di
beneficienza, signori!” urlò, battendo il pugno sul tavolo. Tutte le teste davanti
a Edoardo sobbalzarono, mentre lui saltò letteralmente sulla sedia.
“Lasciate che ve
lo ricordi, ancora una volta” riprese a parlare l’oratore, rassettandosi il
toupet e tornando a un tono di voce sostenibile. “Noi siamo qui per guadagnare.
Guadagnare tanto. Se pensate che per fare questo lavoro basti aiutare quattro
pulciosi risparmiatori a raccattare i soldi per arrotondare la pensione, allora
siete capitati nel posto sbagliato, perché chi lavora per me deve vendere
tutto, e vendere tanto. È la finanza, idioti, e farete meglio a ricordarvelo. ”
La tirata era
stata molto più dura e cattiva del solito, aveva ridotto la stanza a una platea
silenziosa.
“Sono sicuro”
proseguì il discorso, “che molti di voi in questo momento si staranno rilassando,
dicendosi: certo non sta parlando di me, io continuo a superare la mia soglia… ebbene,
signore e signori, ho un annuncio da farvi: da ieri, le soglie sono state
aumentate.”
Un debole gemito
si levò dalle ultime file, mentre due vicini di sedia si guardarono in faccia
con aria patibolare.
Il Geko lasciò
correre lo sguardo su quel pubblico terrorizzato, assaporando la tensione che
stava addensandosi nella sala.
“Troverete che i
nuovi minimi sono di poco superiori a quelli vecchi” spiegò, mentre richiamava
sullo schermo un nuovo elenco, “eppure, guardate: è stato sufficiente alzarli
del 4% ed ecco che tre di voi sono andati sotto. Eh, no, no, no. Così non può
andare…
L’elenco che
riempiva lo schermo riportava tutti i nomi dei promotori della FinSafety. Gli
ultimi tre erano scritti in rosso. Trascorsero altri silenziosi istanti carichi
di tensione.
“Roberti,
Morabio e Locelso. Fuori di qui. Avete chiuso.”
Un nuovo gemito,
nuovi sguardi smarriti. Lentamente, una donna sulla cinquantina e due uomini di
poco più giovani si alzarono dalle loro sedie e, ancora più lentamente, si
avviarono verso l’uscita. Tra i superstiti, qualcuno stava cercando di
reimparare velocemente a respirare, perché il suo cervello sembrava
improvvisamente avere dimenticato come si faceva. Solo quando i tre ebbero
lasciato la sala, il Geko riprese a parlare.
“Avete i loro
numeri, giusto? Perché credo proprio che questo sia il momento giusto per
provare a vendergli un bel piano SaveInTime…”
Le risate che
seguirono quella battuta erano piene di untuosità ma soprattutto di sollievo:
in quel momento, avrebbero trovato il loro capo spiritoso anche se si fosse
messo a estrarre i loro molari senza anestesia. Quell’allegria posticcia durò
fino a quando un suo imperioso gesto della mano non riportò l’ordine.
“Bene, adesso
che vi ho ricordato cosa non si deve fare se si vuole lavorare per me, vediamo
chi mi fa davvero felice.” Così dicendo, impugnò il mouse e con un gesto fluido
fece in modo di evidenziare il nome in cima all’elenco della lista.
Il volto di
Edoardo ebbe uno spasmo involontario, mentre sentiva levarsi da ogni fila esclamazioni
di sorpresa soffocate e gli occhi di Pietro che si posavano su di lui.
“Proprio così!”
urlò il Geko, indicandolo con il dito. “Il nostro Edoardo Gorini. Un applauso,
gente!”
Il fragore del
battito di mani gli giunse come attutito. Non riusciva a distogliere lo sguardo
dal suo nome che campeggiava sulla parete.
“Due milioni,
duecentomila, trecentoventitre euro in un mese!”
Altri applausi,
altre esclamazioni, lo stesso paio di occhi che si posava su di lui. Edoardo
continuava a contemplare il suo nome sulla parete, incapace di muoversi, tanto
meno di pensare.
“Pensate: Edoardo
Gorini, quindici anni qui dentro e nemmeno una volta agente del mese. Nemmeno
una volta tra i primi dieci agenti del mese, se è per questo, ed ecco che
riesce in quello che nessuno di voi, nemmeno tu, Giorgio, e nemmeno tu, Renza,
è mai riuscito a fare: piazzare il Bet4All!”
Il ritmo degli applausi si fece parossistico,
le espressioni d’incredulità chiaramente offensive e lo sguardo di Pietro su di
lui francamente imbarazzante. Ancora, la paralisi che lo aveva colpito gli
impediva di mostrare segni di attività cerebrale. Riuscì solo a registrare i
nomi di Giorgio e Renza, che tra l’altro gli erano del tutto sconosciuti, così
come del resto erano sempre stati quelli di quasi tutti i suoi colleghi.
“Vieni qui, Buddy!”
gli urlò il Geko, alzandosi in piedi e tendendogli le braccia. Per certi versi,
era tutto come nei suoi peggiori incubi, solo che in questo caso il suo capo
non indossava dei paramenti sacri, non aveva degli enormi canini che gli
spuntavano dalla bocca e lui non era legato a un altare sacrificale. Anzi, veniva
afferrato dalle mani sudate di Pietro, fatto alzare e scortato verso il piccolo
palco, mentre al suo passaggio i colleghi gli battevano delle pacche sulle
spalle, a volte un po’ troppo energicamente, a dire la verità: spesso non
atterravano nemmeno sulle spalle, ma sul collo o sulla testa. Edoardo sospettò
che non si trattasse di innocenti errori di mira.
Una volta salito
sulla pedana, venne abbracciato dal Geko, che lo afferrò, lo fissò
intensamente, lo scosse fino a fargli male e infine gli mise il braccio attorno
alle spalle, obbligandolo a fronteggiare la torma che si era nel frattempo
accalcata ai piedi della scrivania. La luce era concentrata sul palco, tutto
ciò che Edoardo riusciva a scorgere erano solo delle sagome fluttuanti.
Dunque, è così
che il Geko ci vede da quassù, si trovò a pensare. Ombre senza faccia che
ballano davanti a lui.
“Allora, Edo,
spiega a tutti la tua trovata. Insegna a questi bamboccioni come si fa a
vendere il veleno senza uccidere i nostri affari.”
Edoardo, ancora
sotto shock, rimase completamente tramortito dal fatto di essere stato chiamato
Edo da un uomo che in quindici anni lo aveva nominato a voce alta non più di
otto volte, per di più sempre per cognome, e non riuscì a proferire parola.
“Vuoi tenertelo
per te, eh, vecchio pirata?” ringhiò gioviale il boss, affibbiandogli un sonoro
scapaccione. “Ti capisco, Edo, ma dobbiamo aiutare questi incapaci. Allora,
aprite bene le orecchie.” Subito, il silenzio tornò ad avvolgere l’assemblea.
“Nessun venditore sano di mente si rovinerebbe reputazione e portafoglio
appioppando a investitori seri dei prodotti che sa benissimo essere delle
solenni fregature, giusto?”
“Giusto!”,
risposero tutti all’unisono. Edoardo rimase in silenzio.
“Ma un bravo
professionista sa anche che i soldi veri si fanno rischiando, non andando sul
sicuro. Inventiva e pensiero laterale, ecco cosa serve per arraffare tutto il
jackpot, giusto?”
“Giusto!”
“E allora, ecco il capolavoro del nostro Edo:
proporre il Bet4All non ai nostri soliti clienti - gli investitori, gli uomini d’affari,
la solita marmaglia in doppiopetto - ma ai poveri cristi, ai bottegai, a chi
pensa davvero che con mille euro sia possibile guadagnarne diecimila
semplicemente comprando un pezzo di carta solo perché un tizio in giacca e
cravatta gli dice che è così. Immaginate, stipulare milletrecentoventidue
contratti da tremila, duemila, mille, cinquecento euro. E sapete con chi? Ecco
l’altro colpo di genio: con i cinesi! Decine, centinaia di famiglie di cinesini
con le loro bottegucce in Paolo Sarpi e la nostalgia della Grande Muraglia che
sognano di guadagnare abbastanza per potersi permettere di andare a morire a
casa loro. E noi non vogliamo che i loro sogni muoiano all’alba, giusto?”
“Giusto!”
“Perché i cinesi?, vi chiederete. Beh, me lo
sono chiesto anch’io, all’inizio, quando mi hanno passato i tabulati dei
movimenti, ma poi ci sono arrivato: Edo ha capito che per coinvolgere un numero
così alto di persone, avrebbe dovuto trovare un branco di pecore pronte a
seguire l’esempio di qualche vecchio caprone. Così, al nostro Edo è bastato
tirare dalla sua parte due o tre caproni dagli occhi a mandorla per ritrovarsi
con un intero gregge pronto per essere tosato!”
Edoardo tentò di
unirsi alle risate sguaiate dei suoi colleghi, ma non ci riuscì molto bene. Non
aveva molta voglia di farsi beffe dei suoi clienti cinesi, in quel momento. Non
mentre il suo cellulare vibrava rabbioso nella tasca avvisandolo dell’ennesima
chiamata del loro portavoce.
“Avete capito,
il genio? Ha fregato un intero quartiere e ha diviso le perdite tra migliaia di
straccioni che non possono alzare la voce, altrimenti attirerebbero
l’attenzione sul loro piccolo mondo di centri massaggi e jeans cuciti dai bambini
nei sottoscala. Due milioni, duecentomila, trecentoventitre euro! Allora, chi è
il capo del branco?”
“Edoardo
Gorini!” urlarono tutti all’unisono.
“Chi è il vostro
Leader of the Pack?”
“Edoardo
Gorini!”
“Chi è il vostro
maschio alfa?”
“Edoardo Gorini!”
“E allora, per
Edoardo Gorini… Auuuuuhhhhhh!”
Il Geko si era
messo a ululare, rovesciando la testa e rivolgendo gli occhi socchiusi al
soffitto, subito imitato dalle ombre che si agitavano sotto la pedana. Era l’atto
finale del rito che ogni mese si ripeteva in quella stanza. In quindici anni,
era la prima volta che Edoardo non lo viveva mescolato nel gruppo. Si era
sempre chiesto cosa si provasse a essere il capobranco. Si accorse di non
saperlo ancora: in quel momento, infatti, osservando gli occhi spiritati dei
suoi colleghi, le loro smorfie e le loro bocche ululanti, e poi il sorriso
zannuto del Geko, si sentiva molto più vicino a Cappuccetto Rosso.
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