Marco raggiunse l’ingresso del
parco poco prima che il suo orologio segnasse le 7, ancora senza riuscire a
credere di essere davvero fuori di casa a quell’ora antelucana, senza nemmeno
avere fatto colazione. Indossava una maglietta nera e tarlata sopra un paio di
vecchi pantaloncini neri che aveva trovato in fondo all’armadio e che
risultavano un po’ troppo fascianti sulle cosce. Le scarpe erano da tennis, più
che da corsa, ma erano le uniche che possedeva, a parte i mocassini che
indossava quasi sempre, soprattutto perché non avevano le stringhe e quindi non
doveva allacciarsele ogni ora (non aveva mai imparato a fare i nodi in maniera
decente: come sua madre non perdeva occasione di ricordargli, gli mancava
l’asilo, che in effetti aveva frequentato saltuariamente e – evidentemente –
con scarso profitto). Nel complesso, considerando anche le calze blu, era
veramente uno spettacolo poco edificante. Mentre aspettava che arrivasse Alessandro,
osservò con attenzione il grande viale che cominciava a popolarsi di automobili
e riempirsi di frastuono, mentre il marciapiede antistante la cancellata del
museo era ancora deserto. Naturalmente, Marco immaginava che se ci fosse
davvero stato un cacciatore e se questi avesse davvero avuto intenzione di
colpire Alessandro durante la corsa, si sarebbe già trovato all’interno dei
giardini. Anche se gli ingressi erano appena stati aperti, infatti, introdursi
lì dentro non doveva rappresentare un grande problema per un killer
professionista quale senza dubbio doveva essere il sicario che era stato messo
sulle tracce del povero Alessandro.
Il pensiero del cacciatore lo
aveva tenuto sveglio quasi tutta la notte. Serviva a poco sapere che non
sarebbe stato lui l’obiettivo dell’eventuale agguato: poteva esserci un
assassino nel parco, e indirettamente il suo lavoro prevedeva che lui cercasse
di fermarlo.
Molto più tranquillizzante era il
fatto che non stesse percependo nessun pericolo imminente, come invece era
accaduto due giorni prima, al concerto. Semplice suggestione o meno (ma
Raffaele sembrava credere che si trattasse di una sua reale capacità), era ben
felice di non doverla affrontare: Quanto meno, infatti, la sua mancanza non
confermava la presenza del cacciatore, anche se non la escludeva.
Finalmente, con un quarto d’ora
di ritardo, vide la testa di Alessandro emergere all’improvviso dall'uscita
della metropolitana. Quando vide la figura intera, si sentì istintivamente un
po’ meno inadeguato.
Alessandro apparteneva al
classico fenotipo dell’uomo alto e poco atletico: le gambe, parzialmente
coperte da un paio di pantaloncini troppo larghi, sembravano due giunchi di
bambù, ancora più esili e scarne di quanto fossero in realtà; alla loro fine, i
piedi parevano esageratamente lunghi. Il torace era stretto e sottile, e faceva
risaltare ancora di più la pancetta prominente che si affacciava sopra
l’elastico dei calzoncini. Le spalle erano spioventi e lungo il collo magro il
pomo d’Adamo transitava su e giù, come dotato di vita indipendente.
Agitando la mano, attirò la sua
attenzione.
Quando si trovarono uno di fronte
all’altro, entrambi si sorrisero, probabilmente pensando la stessa cosa: quella
corsa sarebbe stata un’avventura interessante.
Si avviarono così verso l’entrata
centrale, tutti e due armeggiando con l’orologio. Marcò comprese subito che
Alessandro stava facendo sul serio quando lo vide tirare fuori un contapassi.
L’idea, per quella mattina, era
quella di iniziare con una ventina di minuti di corsa leggera, giusto per
riprendere confidenza con il movimento. Se fossero sopravvissuti e avessero
deciso di riprovarci, avrebbero aumentato gradualmente la durata, fino a
raggiungere i tre quarti d’ora. Possibilmente, tale evento avrebbe dovuto avere
luogo prima del loro cinquantesimo compleanno.
In realtà, almeno all’inizio, le
cose sembrarono andare proprio bene. La sgambata procedeva abbastanza spedita,
il fiato sembrava sostenerli, tanto che azzardarono addirittura un po’ di
conversazione, peraltro mantenendola su livelli estremamente superficiali. In
quel momento, era meglio che l’ossigeno disponibile andasse alle gambe.
Marco aveva deciso di condurre
l’andatura, soprattutto perché in quel modo, rimanendo di qualche passo davanti
ad Alessandro, poteva sperare di decidere il percorso da seguire. Finché ci
fosse stata altra gente nelle vicinanze e loro fossero rimasti lontani dagli
angoli più nascosti e dalle macchie di vegetazione più dense, aveva pensato,
l’ipotetico cacciatore avrebbe avuto senza dubbio vita più difficile.
Dopo poco, poiché continuava a
non percepire nessuna sensazione di pericolo, in maniera del tutto involontaria
cominciò a concentrarsi sulla corsa, cercando di recuperare gli automatismi che
un tempo gli erano così famigliari. Curò con attenzione la coordinazione del
movimento delle braccia con quello delle gambe, tentò di mantenere una
traiettoria quanto più costante possibile e si sforzò di dare il giusto ritmo
alla respirazione.
Per un po’, tutto continuò a
procedette in maniera soddisfacente. Poi, commise il madornale errore di
guardare il cronometro. Era convinto di correre ormai da dieci minuti, per
questo, quando si accorse che a malapena ne erano trascorsi tre, si disunì. Se
prima le gambe sembravano girare da sole, improvvisamente si fecero più
pesanti, e ogni appoggio a terra sembrava un’ottima occasione per una
distorsione o – almeno – una storta; il fiato gli sembrò assolutamente
insufficiente per reggere altri diciassette minuti. Diciassette minuti! Sarebbe
morto prima, ne era certo. L’unica consolazione gli venne dall’occhiata veloce
che lanciò al suo compagno di sventura, che negli ultimi tre minuti sembrava
essere regredito di due o tre stadi evolutivi: l’espressione e la postura erano
in effetti molto più simili a quelle di un primate che avesse appena deciso di
fare un tentativo con il bipedismo che a quelle di un Homo sapiens (probabilmente, anche quelle di un Pitecantropo erano
in quel momento fuori dalla sua portata).
A quel punto, spogliato
dell’euforia causata dalla scarica di adrenalina, Marco cominciò a
preoccuparsi, più che dell’infarto che sentiva incipiente, della situazione
nella quale lui e Alessandro si stavano cacciando. Se infatti fino a quel
momento aveva cercato, riuscendoci, di tenere un ritmo di corsa tale da
rimanere nella scia di altri due jogger mattinieri che li precedevano di una
decina di metri, adesso anche quella era diventata un’impresa proibitiva: le
due figure li distanziarono sempre di più, fin quando, svoltando dietro un’ansa
alberata, scomparvero dalla vista.
Voltandosi indietro, Marco non
vide nessun altro corridore approssimarsi. Sarebbe stato il momento peggiore
per avvertire la presenza del cacciatore.
Naturalmente, in quel momento
avvertì la presenza del cacciatore.